Impianto di videosorveglianza di un proprietario non può riprendere le parti comuni

26 / 05 / 23

La videosorveglianza condominiale per impedire i reati. Nelle assemblee condominiali spesso si discute sull’utilità di installare impianti di videosorveglianza che riprendano le parti comuni , al fine di sventare i furti negli appartamenti. La Cassazione (sentenza 45135/2021) è intervenuta affermando il valore probatorio delle riprese di videosorveglianza per individuare gli autori di reati commessi all’interno degli edifici e ha stilato un decalogo in tale materia . Il caso trattato riguardava un furto di animali commessi all’interno di un edificio , in occasione del quale alcuni venivano uccisi e tre individui danneggiavano la porta di ingresso del capannone e tagliavano i fili delle telecamere ivi collocate.

Il decalogo in ambito penale
La Suprema corte dichiarava inammissibili i ricorsi dei condannati la difesa dei quali lamentava l’illegittimità della sentenza di condanna che si basava sulla riprese degli impianti di videosorveglianza. Il giudice di legittimità dichiarava inammissibili i motivi di ricorso, perché il giudice di appello , per condannarli, si era basato anche sulla deposizione della persona offesa e dei Carabinieri , e redigeva un decalogo in materia di riprese di videosorveglianza nel processo penale:
– l’individuazione fotografica effettuata dalla polizia giudiziaria è una prova atipica la cui affidabilità deriva da quella della persona offesa che , esaminate le riprese, identifichi l’autore del reato;
– una volta accertata la validità del riconoscimento dell’autore del reato da parte della persona offesa la riprese superano il ragionevole dubbio per identificarlo;
– il riconoscimento informale operato dalla polizia giudiziaria sulla base della fotografia dell’indagato è una prova atipica la cui affidabilità deriva dalla credibilità della dichiarazione di chi , avendo esaminato la fotografia , si dica certo della sua identificazione;
– l’individuazione fotografica di un soggetto ha una forza probatoria la cui validità dipende non dalle modalità formali del riconoscimento , ma dal valore della dichiarazione confermativa ;
– le riprese filmate dei movimenti dell’imputato sul luogo dove è stato commesso il reato è una prova documentale del fatto e i relativi fotogrammi non sono prove illegittimamente acquisite e non rientrano nella sanzione processuale dell’inutilizzabilità;
– sono utilizzabili nel processo penale le registrazioni audiovideo di parti comuni di un condominio effettuate con telecamere installate per esigenze di sicurezza (Cassazione sentenze 21027/2020 e numero 6515/2015);
– le videoriprese effettuate in luoghi pubblici o aperti al pubblico , al di fuori e prima del processo penale, sono documenti acquisibili ed utilizzabili dal giudice senza la necessità dell’instaurazione del contraddittorio.

La videosorveglianza abusiva del condòmino
La Cassazione (sentenza 8997/2022) ha rigettato il ricorso di un condòmino avente ad oggetto la revisione della sentenza che lo aveva condannato per il reato previsto dall’articolo 615 bis Codice penale (interferenze illecite nella vita privata), perché aveva installato abusivamente presso la propria abitazione un impianto di videosorveglianza che riprendeva tutto il quarto piano dello stabile e il piano terra dell’ascensore. La sentenza di condanna affermava che tale condotta consentiva al condòmino di procurarsi notizie o immagini attinenti alla vita privata nei locali protetti dalla tutela del domicilio dall’articolo 614 Codice penale.

Il ricorrente invocava la revisione della sentenza, perché era stata emessa nonostante la mancanza della querela proposta dai soggetti interessati, in quanto il reato non era procedibile d’ufficio. La Cassazione non ha consentito la revisione in quanto non ha ritenuto che la mancanza di una querela fosse una prova nuova sopravvenuta alla sentenza di condanna o una prova nuova non valutata nel corso del giudizio. Per il giudice di legittimità nel concetto di nuova prova non rientra la mancanza delle condizione di procedibilità richiesta dal reato per il quale è stata pronunciata la sentenza di condanna. Pertanto, la Suprema corte ha rigettato il ricorso, poiché il ricorrente non ha allegato una prova nuova , limitandosi a prospettare , come una mera deduzione la mancanza della querela per il reato in ordine al quale è stato condannato.